Riforma Cartabia: come cambia la prescrizione e la nuova improcedibilità ex 344-bis c.p.p.

Con la legge 27 settembre 2021, n. 134 è stato approvato il disegno di legge governativo di riforma del processo penale, contenente  la “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”. Si tratta di una riforma organica in materia di giustizia penale approvata dal Parlamento, su iniziativa della Ministra Marta Cartabia (di qui il nome di “Riforma Cartabia”).

La legge si compone di due articoli e di numerosi commi, spesso ripartiti in altrettanto numerose lettere. L’art. 1 contiene una serie di deleghe al Governo, che dovranno essere esercitate entro il termine di un anno dall’entrata in vigore della legge (19 ottobre 2022), per la modifica del processo del penale, del sistema sanzionatorio, nonché in materia di giustizia riparativa.

L’art. 2 contiene, invece, norme di immediata attuazione che intervengono sul regime della prescrizione, della durata dei giudizi di impugnazione nonché in tema di garanzie difensive e di tutela delle vittime del reato.

In questa sede, ci si focalizzerà sulla novella di immediata applicazione inerente al regime della prescrizione e alla nuova ipotesi di improcedibilità dell’azione penale. Prima di procedere in tal senso, ci si limita a rilevare come il filo conduttore che lega tutte le novelle (e i criteri delega) è rappresentato dall’obbiettivo della riduzione del tempi della giustizia: ridurre i tempi del processo penale, senza rinunciare a fondamentali garanzie, e alleggerirne il carico individuando possibili alternative al processo e alla pena carceraria.

La novella in tema di prescrizione del reato

L’art. 2, comma 1, della L. n. 134 del 2021 interviene sulla disciplina sia della sospensione che dell’interruzione del corso della prescrizione. Per quanto attiene alla sospensione della prescrizione, l’art. 2, comma 1, lett. a), ha abrogato il secondo e quarto comma dell’art. 159 c.p. In particolare, l’abrogato secondo comma, introdotto dalla legge n. 3 del 2019 a decorrere dal 1° gennaio 2020, prevedeva, che «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna». All’abrogazione di tale disposizione si accompagna l’introduzione dell’art. 161- bis c.p. in forza del quale la pronuncia della sentenza di primo grado – sia essa di condanna o di assoluzione – comporta, non la sospensione, ma la definitiva cessazione del corso della prescrizione.

Coerentemente con tale impostazione, il secondo comma dell’art. 161-bis c.p. prevede che se la sentenza di primo grado viene annullata con regressione del procedimento al primo grado o ad una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della sentenza di annullamento. La regressione del procedimento per effetto dell’annullamento della sentenza di primo grado non determina, dunque, un azzeramento della prescrizione, ma segna il momento a partire dal quale la prescrizione ricomincia a decorrere, dal punto in cui, con l’emissione della sentenza di primo grado, si era fermato.

Si è detto che l’art. 2, comma 1, lett. a), della L. n. 134 del 2021 abroga, altresì, il quarto comma dell’art. 159 c.p., in base al quale la durata della sospensione della prescrizione del reato in caso di sospensione del procedimento per assenza dell’imputato ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p., non può superare i termini previsti dal secondo comma dell’art. 161 c.p.

L’abrogazione della norma è strettamente correlata alla prevista riforma del processo in assenza, oggetto di delega governativa. Ai sensi dell’art. 1, comma 7, lett. e), della legge in commento, il Governo è, infatti, delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni dirette a modificare il codice di procedura penale in materia di processo in assenza secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che, quando non sono soddisfatte le condizioni per procedere in assenza dell’imputato, il giudice pronunci sentenza inappellabile di non doversi procedere;

b) prevedere che, fino alla scadenza del doppio dei termini stabiliti dall’articolo 157 c.p., si continui ogni più idonea ricerca della persona nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di non doversi procedere, al fine di renderla edotta della sentenza, del fatto che il procedimento penale sarà riaperto e dell’obbligo di eleggere o dichiarare un domicilio ai fini delle notificazioni;

c) prevedere la possibilità che, durante le ricerche, si assumano, su richiesta di parte, le prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento;

d) prevedere che, una volta rintracciata la persona ricercata, ne sia data tempestiva notizia all’autorità giudiziaria e che questa revochi la sentenza di non doversi procedere e fissi nuova udienza per la prosecuzione del procedimento, con notificazione all’imputato con le forme di cui alla lettera b);

e) prevedere che, nel giudizio di primo grado, non si tenga conto, ai fini della prescrizione del reato, del periodo di tempo intercorrente tra la definizione del procedimento con sentenza di non doversi procedere e il momento in cui la persona nei cui confronti la sentenza è pronunciata è stata rintracciata, salva, in ogni caso, l’estinzione del reato nel caso in cui sia superato il doppio dei termini stabiliti dall’articolo 157 c.p.;

f) prevedere opportune deroghe per il caso di imputato nei confronti del quale è stata emessa ordinanza di custodia cautelare in assenza dei presupposti della dichiarazione di latitanza.

L’immediata abrogazione del quarto comma dell’art. 159 c.p. va, dunque, letta nella prospettiva della futura riforma del processo in assenza oggetto di delega governativa. L’asincronia degli interventi normativi comporta, tuttavia, che, allo stato, per effetto dell’avvenuta abrogazione, la sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. determinerà, comunque, una sospensione del corso della prescrizione ai sensi dell’art. 159, comma 1, n. 3-bis, c.p., ma senza l’operatività dei limiti previsti dall’art. 161, comma 2, c.p. espressamente previsti solo per il caso di interruzione della prescrizione.

Da ciò dovrebbe conseguire che la sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. potrà avere una durata indeterminata, ove alle scadenze prefissate dal successivo art. 420-quinquies non si verifichi una delle ipotesi di revoca previste dal secondo comma.

Quanto ai profili di diritto intertemporale, in assenza di una disciplina transitoria apposita, opera la regola generale di cui all’art. 2 c.p., sulla premessa che – secondo la giurisprudenza costituzionale – la disciplina della prescrizione del reato ha natura sostanziale. Le modifiche normative apportate dalla riforma hanno effetto retroattivo solo se e in quanto risultino in concreto più favorevoli. È il caso del ripristino del decreto di condanna quale atto interruttivo del corso della prescrizione, che pertanto non viene più bloccata dal decreto penale stesso (v. art. 2, comma 1, lett. b) L. 134/2021). L’abrogazione della norma che prevede un limite massimo alla sospensione della prescrizione, in caso di processo in absentia, comporta invece un effetto sfavorevole e non può avere effetto retroattivo. Per i restanti profili, la nuova disciplina non ci sembra avere carattere sostanzialmente innovativo: né nella parte in cui qualifica propriamente la sentenza di primo grado quale causa di cessazione (anziché di sospensione) del corso della prescrizione; né nella parte in cui stabilisce che la prescrizione inizia a decorrere nuovamente in caso di regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore.

L’improcedibilità dell’azione penale ex art. 344-bis c.p.p.

Escludendo la decorrenza della prescrizione del reato nei giudizi di appello e di legittimità, al fine di garantire il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e, al tempo stesso, incentivare la riduzione dei tempi medi di celebrazione dei giudizi di impugnazione (e in particolare, dell’appello), viene introdotto il nuovo istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione. Dal punto di vista sistematico, la relativa disciplina è inquadrata e collocata nel codice di procedura penale tra le condizioni di procedibilità, in un nuovo art. 344 bis c.p.p.

La norma disegna un meccanismo estintivo legato al superamento dei tempi di definizione del giudizio di impugnazione: si prevede, infatti, ai primi due commi, che la mancata definizione del giudizio di impugnazione entro i termini di legge comporta l’improcedibilità dell’azione penale (due anni per il giudizio di appello e un anno per il giudizio di cassazione).

Al pari della prescrizione, anche l’improcedibilità per superamento dei termini di durata del giudizio di impugnazione è rinunciabile dall’imputato (il quale può chiedere la prosecuzione del processo) e non opera con riferimento ai reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

Il comma 3 dell’art. 344-bis c.p.p. prevede, quale dies a quo del termine di durata del giudizio di impugnazione, la data del deposito della sentenza e, precisamente, il novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544 c.p.p., comprensivo di eventuali proroghe ai sensi dell’art. 154 disp. att. c.p.p.

Deve ritenersi che, ai fini del computo dei novanta giorni di cui all’art. 344-bis c.p.p., occorre fare riferimento esclusivamente alla scadenza del termine legale o legittimamente autodeterminato dal giudice, rimanendo, dunque, irrilevanti sia il deposito anticipato della sentenza che l’eventuale ritardo (salvo, in tal caso, una rilevanza disciplinare della condotta).

Si noti, inoltre, che anche ai fini della valutazione relativa alla tempestiva definizione del giudizio di appello o di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni o di un anno, deve aversi riguardo alla data di deliberazione della sentenza che conclude la fase e non a quella di deposito della motivazione.

Analogo meccanismo estintivo è infine previsto dal comma 8 dell’art. 344-bis c.p.p. nel caso di annullamento della sentenza in sede di legittimità con rinvio al giudice competente per l’appello. Anche per il giudizio di appello in sede di rinvio si applica, pertanto, il termine di durata biennale che decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di trenta giorni previsto dall’art. 617 c.p.p. per il deposito della sentenza della Corte di cassazione. Qualora, invece, la sentenza di annullamento travolga anche la pronuncia di primo grado, troverà applicazione l’art. 161-bis, secondo periodo, c.p.  in forza del quale la prescrizione riprende a decorrere dalla data della pronuncia definitiva di annullamento.

La novella innanzi esaminata pone un problema interpretativo in ordine all’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., che non è stato toccato dalla Riforma.

A seguito dell’operatività dell’art. 161-bis c.p., l’estinzione del reato per prescrizione non potrà più essere dichiarata nel giudizio di impugnazione. Occorre, tuttavia, chiedersi se, in caso di sussistenza della causa di improcedibilità di cui all’art. 344-bis c.p.p., il giudice dell’appello o la Corte di cassazione possano, comunque, pronunciare il proscioglimento dell’imputato si sensi del 1° comma dell’art. 129 c.p.p.

A tale quesito sembrerebbe doversi dare una risposta negativa. Secondo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Martinenghi, la mancanza di una condizione di procedibilità osta, infatti, a qualsiasi altra indagine in fatto (Sez. Unite, sentenza 24 settembre 2009, n. 49783).  Sulla base di tale principio potrebbe, dunque, ritenersi che, ove sia maturato il termine di durata del giudizio di impugnazione, al giudice sia ormai preclusa la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento dell’imputato secondo una delle formula contemplate dall’art. 129, comma 1, c.p.p., trattandosi, comunque, di una pronuncia sull’azione penale che ne presuppone la procedibilità e la possibilità di esaminare il merito dell’imputazione.

La proroga dei termini per particolare complessità del giudizio

La fissazione del termine oltre il quale si determina l’improcedibilità in due anni per il giudizio di appello ed in un anno per il giudizio di cassazione, non ha una valenza assoluta, essendo stata dettata un’articolata disciplina che consente – anche a seconda della tipologia di reati per i quali si procede – la proroga dei termini previsti dall’art. 344-bis , commi 1 e 2, c.p.p.

Al comma 4, infatti, si stabilisce che, quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, i termini previsti ai primi due commi possono essere prorogati, con ordinanza motivata adottata dal giudice che procede.

Il regime della proroga non è unitario, essendo state enucleate tre ipotesi diverse che possono essere sintetizzate secondo lo schema seguente:

  1. la previsione generale, applicabile a qualsivoglia ipotesi di reato, contempla una sola proroga, non superiore ad un anno in appello ed a sei mesi in cassazione;
  2. ulteriori proroghe, della medesima durata e per le medesime ragioni, senza un limite temporale massimo, sono applicabili solo ai procedimenti per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni oppure nel massimo a 10 anni; per i delitti di cui agli artt. 270, 3° comma, c.p. e 306, secondo comma, c.p. , per delitti di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.), di violenza sessuale aggravata (art. 609-ter c.p.), di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.), di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, del d.P.R. n. 309 del 1990), nonché per i delitti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1, primo comma, c.p.
  3. le proroghe non possono superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione, nel caso in cui si proceda per delitti aggravati dall’art. 416-bis.1 (la durata massima, pertanto, sarà di 5 anni per la fase di appello e di 2 anni e sei mesi per la cassazione).

L’ordinanza con la quale viene prorogato il termine di improcedibilità deve, naturalmente, essere motivata a pena di nullità ex art. 125, comma 2, c.p.p. Date le particolari implicazioni sostanziali dell’istituto in questione, la motivazione deve dare compiutamente atto delle ragioni dalle quali si desume la particolare complessità del procedimento.

Non vi sono elementi ostativi all’adozione della proroga anche nel corso della trattazione del giudizio, posto che le ragioni della complessità ben potrebbero essere comprese o emergere solo durante lo svolgimento dello stesso. La questione si pone essenzialmente per il giudizio di appello. In quella sede, in teoria, potrebbe verificarsi che l’esigenza del differimento emerga in un secondo momento, ad esempio nel caso in cui la Corte decida di assumere atti istruttori particolarmente complessi (diversi dalla rinnovazione, essendo questa già autonoma causa di sospensione del termine ex art. 344-bis, comma 6, c.p.p.). A fronte della sopravvenuta emersione della complessità del procedimento, non vi è ragione per escludere che la proroga possa essere disposta solo nel momento in cui si determini l’insorgenza di un fatto processuale che non consente più la definizione entro l’ordinario termine di definizione previsto dall’art. 344-bis, comma 4, c.p.p.

Per mera completezza, infine, è bene precisare che la proroga del termine potrà essere disposta solo se quello originario non sia già scaduto, nel qual caso l’improcedibilità si è definitivamente determinata.

Ben più rilevante è la problematica relativa alla reiterazione delle proroghe, consentite in presenza di particolari fattispecie di reato. In tali casi, non si ritiene sufficiente una valutazione iniziale di “particolare complessità” del procedimento da richiamare, sostanzialmente per relationem, al fine di disporre le ulteriori proroghe. Soprattutto se si considera come, per determinati reati, non sia previsto un limite massimo delle proroghe, appare necessario che il differimento del termine sia di volta in volta giustificato, indicando le ragioni per cui occorra una nuova proroga che si va ad aggiungere a quelle già disposte.

Al quinto comma dell’art. 344-bis c.p.p. si è stabilito che, contro l’ordinanza che dispone la proroga, l’imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione entro cinque giorni dalla lettura dell’ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione.

La norma in esame consente l’impugnazione della sola ordinanza di proroga adottata dalla Corte di appello, devolvendo la cognizione alla Corte di cassazione. Il giudizio di svolge nelle forme del rito camerale disciplinate dall’art. 611 c.p.p. e, in caso di rigetto o dichiarazione inammissibilità, la questione non è più suscettibile di essere riproposta, neppure congiuntamente al ricorso avverso la sentenza di merito emessa nel giudizio di appello.

Alcuna previsione è dedicata, invece, all’ordinanza di proroga adottata dalla Corte di cassazione che, evidentemente, non è suscettibile di alcuna forma di controllo, dovendosi anche escludere la possibilità di proporre ricorso straordinario per errore materiale o di fatto. L’art. 625-bis c.p.p., infatti, è esperibile esclusivamente da parte del condannato, il che implicitamente esclude la possibilità di avvalersi di tale forma di impugnazione avverso un provvedimento inidoneo a determinare la decisione del ricorso ed incidente esclusivamente sulla durata del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione.

Regime transitorio

Il regime temporale di applicazione della neo introdotta causa di improcedibilità per superamento dei termini di durata del giudizio di impugnazione è contenuto nei commi 3, 4 e 5 dell’art. 2.

In linea generale, l’art. 344-bis c.p.p. si applica esclusivamente ai procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.

Ciò premesso, la disciplina contenuta nei successivi commi contiene delle disposizioni finalizzate a consentire una graduale applicazione della riforma in modo da assicurare, contemporaneamente, un adeguamento delle strutture degli uffici giudiziari. In particolare, con riferimento ai soli procedimenti di impugnazione nei quali, alla data di entrata in vigore della legge (19 ottobre 2021), siano già pervenuti al giudice dell’appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell’art. 590 c.p.p., il comma 4 prevede che i termini di durata del giudizio di appello e di cassazione stabiliti dall’art. 344-bis, commi 1 e 2, c.p.p., decorrano dalla data di entrata in vigore della legge (e non dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’art. 544 c.p.p.).

Inoltre, il comma 5, proprio nell’ottica di una graduale applicazione della disciplina, prevede che, con riferimento alle impugnazioni proposte entro il 31 dicembre 2024, il termine di durata del giudizio di appello sia di tre anni e quello di durata del giudizio di cassazione di un anno e mezzo. La norma prevede, infine, che analoghi termini si applichino anche in caso di annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024 e che, in caso di pluralità di impugnazioni, si faccia riferimento all’atto proposto per prima.

 

Fonti:

  • Relazione n. 60/2021 dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, avente ad oggetto la legge 27 settembre 2021, n. 134, consultabile qui.
  • G.L. GATTA, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in Sistema Penale, consultabile qui.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.