Segreto professionale: riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente

Le comunicazioni tra avvocato e cliente sono coperte dal segreto professionale: la riservatezza, del resto,  va considerata una caratteristica essenziale per un processo equo ed un corretto funzionamento della giustizia, oltre che fondamentale per l’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.). E’ evidente che l’avvocato non potrebbe adempiere al proprio mandato difensivo, se fosse obbligato a riferire all’autorità giudiziaria quanto appreso dai colloqui con il proprio assistito.

A livello sovranazionale, il segreto professionale dell’avvocato è riconosciuto in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, sia in via solo giurisprudenziale (si penai ai paesi anglosassoni), che da una previsione di legge ordinaria se non addirittura costituzionale (come in Italia).

Esso può essere desunto anche dall’art. 8, n. 1, della CEDU  (tutela della corrispondenza) in combinato disposto con l’art. 6, nn. 1 e 3, lett. c), della CEDU  (diritto ad un processo equo), nonché dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea  (rispetto delle comunicazioni) in combinato disposto con gli artt. 47, commi 1 e 2  e 48, n. 2, della Carta stessa (diritto a farsi consigliare, difendere e rappresentare, rispetto dei diritti della difesa).

A livello interno, il segreto professionale, oltre che dall’art. 24 Cost. in via indiretta e da norme deontologiche, è tutelato:

  • dall’art. 200 c.p., che fra altro stabilisce che l’avvocato non possa essere obbligato a deporre su quanto ha conosciuto “per ragione” della propria professione;
  • dall’art. 103 c.p.p. che definisce una serie di garanzie sostanziali di libertà nell’esercizio della attività di difesa, costituite da altrettanti limiti alla possibilità (salve particolari eccezioni) di effettuare ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori, alla possibilità di procedere e al sequestro di corrispondenza o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato, oltre che dal divieto di disporre (e ascoltare) intercettazioni dal medesimo contenuto.

Il divieto di intercettazione tra difensore e assistito

L’articolo 103 c.p.p. sancisce:

  • il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari e di quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite;
  • il divieto di utilizzazione;
  • il divieto di trascrizione “quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate“.

Deve preliminarmente rilevarsi come il divieto di intercettazione delle comunicazioni tra difensore e assistito operi anche a prescindere da una formalizzazione della nomina: posta a garanzia della necessaria riservatezza dell’attività difensiva, la sanzione dell’inutilizzabilità delle conversazioni captate ricorre infatti quand’anche l’indagato non abbia ancora comunicato all’autorità procedente la nomina del difensore ai sensi dell’art. 96, in quanto ciò che rileva ai fini dell’operatività del divieto di intercettazione «è la natura del colloquio e non la formalizzazione del ruolo del difensore» (cfr. Cass. Sez. VI, 4.7.2006, Spahija), non estendendosi però a qualsivoglia comunicazione che si svolga nel suo ufficio o domicilio (Cass. Sez. II, 28.5.2014, Canestrale),  ma solo alle conversazioni che attengono alla funzione esercitata (Sez. un., 12 novembre 1993, dep. 14 gennaio 1994, n. 25).

La maggiore criticità che si può muovere a tale disciplina consiste nel fatto che il contenuto professionale delle comunicazioni emerge soltanto a intercettazione compiuta, e cioè ad ascolto effettuato. il meccanismo della verifica postuma del rispetto dei limiti legali, la cui violazione comporta l’inutilizzabilità delle risultanze dell’ascolto e la distruzione della relativa documentazione, consente di ascoltare la conversazione, così vanificando il diritto fondamentale alla riservatezza fra cliente ed assistito.

La recente approvazione del decreto legislativo n. 216 del 29.12.2017, ad attuazione della delega prevista dall’art. 1, co. 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e) della legge 23 giugno 2017 n. 103, non pare risolutiva del problema, sebbene si sia provati a fare qualche sforzo in termini più garantisti.

Merita qui segnalarsi esclusivamente la modifica interessante il comma 7 dell’art. 103, laddove si prevede l’aggiunta del seguente periodo: “Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta”.

La norma, benché abbia il merito di limitare la potenziale diffusione di una conversazione riservata, più elevata nei casi in cui si sia proceduto ad annotazione o addirittura a trascrizione, lascerebbe comunque persistere il problema della verifica postuma e quindi la possibilità di ascolto da parte di P.G. e Procura  delle conversazioni coperte da segreto difensivo.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.