Il sequestro probatorio del corpo del reato o di cose a questo pertinenti

Il nostro codice di procedura penale disciplina tre diversi tipi di sequestro: il sequestro probatorio, il sequestro preventivo e il sequestro conservativo. Solo Il primo viene collocato dal Legislatore tra i mezzi di ricerca della prova, mentre gli altri due tra le misure cautelari.

Mentre il sequestro probatorio mira alla ricerca della prova, il sequestro preventivo mira ad interrompere il compimento di un reato, e cioè ad inibire l’attività di un soggetto imponendogli obblighi di facere e/o di non facere; il sequestro conservativo, invece, mira ad assicurare al procedimento alcuni beni perché con essi sia garantito il pagamento delle spese di giustizia o delle somme dovute al danneggiato.

Caratteristica comune a tutti i tipi di sequestro è quella di creare un vincolo di indisponibilità sul bene, attraverso uno spossessamento coattivo.

Il sequestro probatorio (detto anche “sequestro penale”) ha a oggetto il corpo del reato o delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti e trova la sua disciplina agli artt. 253 e seguenti c.p.p. Esso è strettamente collegato alla perquisizioneessendone spesso una diretta conseguenza.

Il sequestro è disposto dall’Autorità giudiziaria con decreto motivato (Pubblico Ministero in fase di indagini, dal Giudice che procede dopo l’esercizio dell’azione penale). Al sequestro procede personalmente l’Autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto.

Laddove non sia possibile l’intervento tempestivo dell’Autorità giudiziaria, è consentito agli ufficiali di Polizia giudiziaria sequestrare i medesimi beni prima che essi si disperdano nelle more dell’intervento del Pubblico Ministero (art. 354 c.p.p.). In tal caso, la polizia giudiziaria deve, ai sensi dell’art. 355 comma 1 c.p.p., provvedere a trasmettere il verbale di sequestro “senza ritardo” e, comunque, “non oltre le 48 ore al pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito”, affinché il pubblico ministero possa, nelle ulteriori successive 48 ore, convalidare il sequestro operato in via d’urgenza ove ne ricorrano i presupposti (art. 355, comma 2, c.p.p.).

La qualificazione giuridica del sequestro eseguito dalla polizia giudiziaria spetta al pubblico ministero che, in quanto dominus della fase delle indagini, ha il potere di classificare come sequestro preventivo quello disposto dalla polizia con dichiarate finalità probatorie, con la conseguenza che il regime delle impugnazioni deve, poi, adeguarsi alla scelta del pubblico ministero (v. S.U. 18 giugno 1991- 24 luglio 1991 n. 9).

Oltre che all’organo inquirente, anche al giudice della cognizione è riconosciuto il potere di attivare un provvedimento di sequestro: ciò si verificherà, di regola, ad imputazione già formulata e quindi dopo l’esercizio dell’azione penale ad opera del PM, allorché le parti avranno come naturale interlocutore il giudice. Il giudice potrà disporre il sequestro tanto a richiesta di parte, quanto ex officio, se in fase di dibattimento (art. 507 c.p.p.).

Quanto alla natura deve osservarsi che l’atto di sequestro è atto a sorpresa e atto irripetibile. Proprio in ragione della sua irripetibilità, il verbale di sequestro potrà essere inserito nel fascicolo dibattimentale, ai sensi dell’art. 431 c.p.p., ed utilizzato quale fonte di prova (cfr. Cass. Sez. VI, 14 novembre 1991- 10 gennaio 1992, n.182 ).

Fondamentale è la motivazione del decreto di sequestro, consentendo essa di valutare la sussistenza dei requisiti di legge e, dunque, la legittimità del provvedimento. Sul punto, si osservi infatti come “anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione sia in ordine alla rilevanza probatoria del bene assoggettato a sequestro, sia con riguardo al nesso di pertinenzialità fra res e reato” (così Cass. n. 11817/2017; in applicazione di questo principio la S.C. ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale per il riesame che aveva confermato il decreto di sequestro probatorio avente ad oggetto, oltre a della sostanza stupefacente, anche una somma di denaro in contanti rinvenuta nell’abitazione dell’indagato, rilevando la carenza di adeguata motivazione dell’ordinanza sul punto che fondava la provenienza del denaro dall’attività di spaccio, che non aveva tenuto in conto della documentazione reddituale prodotta in allegato al ricorso di riesame).

Contro il decreto di sequestro, infatti, tanto l’imputato quanto la persona cui le cose sono state sequestrate, nonché colei che avrebbe diritto alla restituzione di esse, possono proporre richiesta di riesame ai sensi dell’art. 324 c.p.p. Richiesta, questa, che non sospende l’esecuzione del provvedimento.

Il sequestro probatorio, come detto, ha a oggetto il corpo del reato e le cose a esso pertinenti. Il comma 2 dell’art. 253 dispone che sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso (ad es. la pistola usata per commettere un omicidio; l’immobile costruito abusivamente; etc.), nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

Per prodotto del reato si intende il risultato che il responsabile ottiene dalla sua condotta criminosa; per profitto del reato si intende il vantaggio economico che deriva dalla commissione del reato; infine, per prezzo del reato si intende il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato.

I beni sequestrati sono custoditi in cancelleria del Giudice ovvero in segreteria del P.M.; laddove ciò non fosse possibile od opportuno l’A.G. provvede a indicare altro luogo adatto, nominando all’uopo un custode e avvertendolo dei suoi doveri e delle responsabilità penali cui va incontro in caso di violazione.

Quanto alla durata, il sequestro probatorio può essere mantenuto fin quando necessario ai fini probatori. Venuta meno l’esigenza probatorio, i beni sequestrati dovranno essere prontamente restituiti all’avente diritto, trattandosi di misura coercitiva reale che incide sia sul diritto di proprietà che sulla libertà di iniziativa economica, a meno che il giudice non ne disponga, al ricorrere dei presupposti, il sequestro conservativo o il sequestro preventivo, ovvero ne ordini la confisca.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.