La confisca nei delitti tributari: art. 12 bis D.Lgs. 74/2000

Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n.158, nel revisionare il sistema penal-tributario, ha apportato numerose modifiche anche al D.Lgs. 10.3.2000, n.74 (c.d. Legge sui reati tributari), introducendo, tra l’altro, l’art.12 bis che disciplina la confisca obbligatoria del profitto o del prezzo derivante da reato.

L’ art. 12 bis D.lgs. 74/2000 prevede, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. per un qualsiasi delitto tributario, la confisca obbligatoria dei beni che ne costituirono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato (c.d. confisca diretta); ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (c.d. confisca per equivalente o “di valore”).

Suscita perplessità il richiamo alle sentenze di “patteggiamento” ex art. 444 c.p.p. L’integrale estinzione del debito tributario (interessi e sanzioni) costituisce infatti condizione di ammissibilità al patteggiamento ai sensi del successivo art. 13 bis e, allo stesso tempo, circostanza impeditiva all’adozione dello strumento ablativo ex art. 12 bis comma 2.

L’avvenuta integrale estinzione della posizione debitoria determina, infatti, il venire meno dello scopo della confisca escludendone l’applicazione, onde evitare un’inaccettabile duplicazione sanzionatoria. Lo stesso principio vale ovviamente anche in caso di pagamento parziale (ad esempio rateale) del debito tributario: la confisca non può essere disposta sulla parte di debito già saldato.

Relativamente, invece, all’accordo intervenuto tra contribuente ed Amministrazione finanziaria per la definizione delle pendenze debitorie del primo, l’art. 12 bis – laddove afferma al comma 2 che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario” – fa riferimento a un impegno formalmente assunto (accertamento con adesione, una transazione fiscale ex art. 182-ter L. F., un piano di rateazione, etc), e non ad una mera dichiarazione di volontà, unilaterale, da parte del soggetto interessato.

A tal riguardo, in caso di accordo formale, sulla sorte del sequestro disposto, si è chiarito che “anche in presenza di un piano rateale di versamento, la confisca potrà continuare ad essere comunque consentita, sia pure per gli importi non corrisposti, così continuando ad essere consentito il sequestro ad essa finalizzato”. In particolare, il sequestro manterrà i suoi effetti anche dopo la pronuncia della sentenza di condanna “qualora sia stata disposta la confisca ancorché condizionata delle cose sequestrate”; sicché in ipotesi del verificarsi “della condizione sospensiva, costituita dal mancato pagamento, la confisca sarà pienamente produttiva di effetti” e spetterà al Pubblico Ministero, ricevuta apposita comunicazione di inadempimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, dare concreta esecuzione alla misura (c. Cass. sez. III, 6/10/2016, n. 42087).

Oggetto della confisca penale-tributaria è il prezzo o il profitto del reato. Con riguardo ai reati tributari, l’individuazione del prezzo del reato è alquanto marginale; ben più ricorrente, invece, il profitto, quale vantaggio economico di diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente (c.d. vincolo di pertinenzialità al reato).

Invero, a ben vedere, l’evasione fiscale non produce all’agente una nuova ricchezza che va ad aggiungersi a quella precedentemente posseduta. Una prima interpretazione, che tendeva a negare la possibilità di individuare un profitto confiscabile in relazione ai reati tributari, è stata ben presto superata dall’estensione del concetto di profitto per giungere a includere, in tale accezione, anche il “risparmio di spesa o di imposta”. Si è così affermato che in tema di reati tributari  il profitto è costituito “da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo” (Sezioni Unite, 23/04/2013, n. 18374). In altri termini, l’ingiusto profitto che deve essere neutralizzato dalla confisca è rappresentato dai beni che permangono illecitamente nel patrimonio, quando, invece, una condotta lecita ne avrebbe comportato la loro fuoriuscita.

Sempre la giurisprudenza si è spinta sino ad affermare che “la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta“. La Cassazione a Sezioni Unite ha, infatti, rilevato che “ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere – né sul piano economico né su quello giuridico – la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo” (cfr. sent. 21/07/2015, n. 31617).

Qualche contrasto si è registrato altresì in ordine alla quantificazione del c.d. risparmio di spesa, ovvero se esso vada quantificato tenendo conto della sola imposta evasa o anche degli interessi e delle sanzioni. Fatta eccezione per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte previsto dall’art. 11 d.lgs. 74/2000, il profitto ricavabile dal contribuente non può che essere la sola imposta evasa, rappresentando – le sanzioni irrogate – il “costo” del reato. Pare, dunque, ammissibile sostenere che il profitto confiscabile ex art. 12 bis, con l’unica eccezione della sottrazione fraudolenta, debba essere correttamente individuato nella sola imposta evasa, senza essere confuso con il più ampio concetto di debito tributario (inclusivo di imposta, sanzioni ed interessi).

Guardando, invece, alle condizioni ai fini di applicabilità della misura ablatoria, l’art. 12 bis dispone che il bene costituente prezzo o profitto confiscabile non “appartenga a persona estranea al reato”. Sul punto, consolidata giurisprudenza ritiene non essere estraneo al reato chiunque, pur non essendone autore o concorrente, abbia conseguito un vantaggio dalla consumazione del reato e non versi in una condizione di buona fede soggettiva.

In ordine alla natura giuridica della confisca diretta nei delitti tributari, è pacifica la sua riconducibilità alle misure di sicurezza patrimoniali soggette alla disciplina di cui agli artt. 200 ss. c.p. (da cui deriva, principalmente, la sottrazione al principio di irretroattività); a diversa conclusione si approda, invece, con riferimento alla confisca per equivalente.

Quest’ultima, andando a incidere su beni estranei al fatto di reato, al fine di privare il reo del profitto illecitamente conseguito, persegue finalità afflittive e general-preventive, tali da evidenziarne la natura sanzionatoria. Ne consegue la sottrazione al regime delle misure di sicurezza e la soggezione al regime giuridico delle pene, informato ai principi di legalità e irretroattività sanciti dagli art. 25 comma 2 Cost., 7 CEDU e 2 c.p.

Presupposto applicativo della confisca per equivalente è che i beni siano nella disponibilità del reo, potendosi colpire esclusivamente i beni che facciano parte del patrimonio del colpevole, senza incidere sul patrimonio di terzi estranei al reato. Anche al fine di evitare l’elusione dei provvedimenti ablatori, tramite ad esempio l’intestazione fittizia, il concetto di disponibilità deve essere inteso in senso sostanziale, non rilevando la titolarità formale di diritti reali o obbligatori sui beni, ma le situazioni di fatto che pongono il colpevole in una posizione assimilabile a quella del proprietario.

Infine, mentre la confisca diretta del prezzo o del profitto può essere disposta anche in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, purché vi sia stata una precedente pronuncia di condanna nel merito; la confisca per equivalente non può trovare applicazione in caso di prescrizione del reato, proprio in virtù della sua natura sanzionatoria, che preclude l’applicazione del regime previsto per le misure di sicurezza dagli artt. 200, 210 e 236 c.p., in deroga ai principi penalistici della irretroattività e della inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato.

Non pare superfluo rilevare, in conclusione, come il D.lgs. 231/2001 non annoveri i reati tributari tra gli illeciti presupposto della responsabilità amministrativa “da reato” degli enti, con la conseguenza che per gli stessi non può operare la speciale fattispecie di confisca per equivalente dei beni della persona giuridica ex art. 19 d.lgs. 231/2001 (eccezion fatta per il caso in cui la persona giuridica costituisca un mero schermo fittizio per la persona fisica; v. Cass. pen., Sez. Un., Gubert).

Diversamente, concependo la confisca di denaro o altri beni fungibili quale confisca diretta, tale forma di aggressione patrimoniale sarebbe ammissibile nei confronti del profitto da reato realizzato dal rappresentante legale e rimasto nella disponibilità dell’ente, anche sulla scorta dell’art. 6 comma 5 D.lgs 231/2001, in cui si ordina che la confisca del profitto tratto dal reato sia comunque disposta nei confronti dell’ente, anche in caso di insussistenza della responsabilità da reato (la quale è, invece, presupposto per la confisca-sanzione di cui all’art. 19).

Tale lacuna potrebbe, invero, essere a breve colmata, a seguito del recepimento della Direttiva UE 2017/1371 (Direttiva “PIF”) del 5 luglio 2017, che in materia di contrasto alle frodi  IVA prevede l’istituzione di un sistema di responsabilità delle persone giuridiche con applicazione di apposite sanzioni e della confisca “degli strumenti e dei proventi” delle condotte commesse. Entro il 6 luglio 2019, termine per il recepimento della Direttiva, l’Italia dovrebbe estendere il sistema della responsabilità amministrativa degli enti quanto meno ai casi di frode Iva; si auspica che, per l’occasione, si decida per una più generale ed organica riforma della materia tesa all’inclusione delle fattispecie di cui al d.lgs. 74/2000 nel sistema di cui al d.lgs. 231/2001.

Fonti:
  • COLAIANNI F. e MONZA M., Le confische nel diritto penale tributario: una pluralità di istituti ablatori a confronto, in DPC, fasc. 11/2018;
  • BONANNO G., Brevi considerazioni in tema di confisca tributaria, Unipa, 2018.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.